Il prezzo del petrolio è stato da sempre un particolare veicolo di interesse per il trading online. Nello specifico, il prezzo troppo basso del petrolio ha spinto molti trader all’acquisto di barili che sono riusciti a vendere a prezzi decisamente più alti. Basta pensare al 2015 quando era sceso sotto 30$. La discesa ha messo in ginocchio parecchie economie legate al petrolio, in primo luogo quella del Venezuela, e favorita una spirale deflattiva che si è estesa anche ad altri settori economici. Ma ha soprattutto dato una grande opportunità di guadagno a noi trader.
Per i motivi economici e per scongiurare una discesa dei prezzi, nel 2017 l’OPEC ha deciso di correre ai ripari e, dopo una trattativa estenuante, ha imposto un taglio della produzione in modo da bilanciare domanda e offerta e porla su un binario funzionale a un aumento dei prezzi.
Ebbene, la manovra ha funzionato… Forse troppo. Il prezzo del petrolio è salito oltre le attese, bruciando le tappe. Attualmente (Maggio 2018) sia il Brent che il WTI viaggiano sopra i 70 dollari al barile. Una cifra che l’oro nero non vedeva dal 2014.
E’ evidente, però, che se da un lato un prezzo troppo basso è dannoso per le economie, lo stesso si può dire di un prezzo in rapida crescita. Dunque, è bene conoscere i fattori che stanno sostenendo il petrolio. Un argomento, questo, che interessa anche i trader, poiché pone le basi per comprendere, o stimare, quando il rush (eventualmente) terminerà la sua spinta propulsiva.
Petrolio e fattori geopolitici
Gli eventi che stanno movimentando lo scenario internazionale stanno provocando, o stanno minacciando di provocare, un ulteriore taglio dell’offerta.
Il fattore geopolitico più importante è l’inasprimento dello stato di tensione in Medio Oriente, e in particolare nello Yemen, teatro di un conflitto di cui si parla poco ma che è potenzialmente in grado di ridurre la quantità di petrolio commerciabile.
Pesa, poi, il drastico peggioramento dei rapporti tra Iran e Stati Uniti. Esso ha prodotto due frutti molto amari. Da un lato, la minaccia dell’Iran di chiudere lo stretto di Ormuz, dal quale passano quasi 20 milioni di barili di petrolio ogni giorno. Dall’altro lato, la minaccia di Trump di ripristinare l’embargo, che comprometterebbe le esportazioni di petrolio iraniano.
Da non sottovalutare, infine, il caos libico e l’instabilità che potrebbe nascere dalle elezioni parlamentari in Iraq, che hanno prodotto un risultato senza precedenti.
Petrolio e fattori economici
A incidere in questo caso è la spaventosa crisi che sta coinvolgendo il Venezuela. Sul piano economico, è un paese completamente prostrato. Da cosa? Dal crollo del prezzo del petrolio, ovviamente. I danni sono stati così estesi da impedire allo stato sudamericano di riprendersi, ora che le quotazioni dell’oro nero sono cresciute. Il risultato è un crollo drastico della produzione, che si aggiunge a quella indotta “artificialmente” dall’OPEC. L’aumento del prezzo del petrolio a livello globale è sicuramente dovuto in parte a questo.
Tra parentesi, a impedire alla nazionare di risollevarsi, vi è anche lo stato di agitazione politica, esacerbato dalle proteste per l’approccio del presidente di Nicolas Maduro, nettamente improntati all’autoritarismo e al restringimento degli spazi democratici.
Petrolio e Arabia saudita
Non vanno trascurate le manovre politiche in Arabia Saudita. A fare luce sul comportamento dell’amministrazione saudita è stato Bloomberg, che ha avanzato una supposizione a metà strada tra la provocazione e il realismo (o comunque il verosimile). L’Arabia Saudita, secondo Bloomberg, starebbe portando avanti una strategia finalizzata a portare il prezzo del petrolio oltre gli 80 dollari, in modo da sostenere la compagnia petrolifera pubblica Aramco, prima che questa venga messa sul mercato.
Si tratta di una speculazione, non c’è dubbio, ma comunque legittimata anche da alcune parole del principe erede Mohammed Bin Salman, che in una intervista rilasciata al Time aveva dichiarato che, secondo lui, i prezzi sarebbero cresciuti fino a tutto il 2019, e che stavano aspettando che il prezzo raggiungesse un certo livello prima di vendere l’Aramco.